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Calcio

Bogi: un paragrafo della storia unonista

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Samuele Bogi (1976) ha rappresentato per anni un baluardo del Grosseto che iniziava a crescere dopo il suo periodo più buio. Difensore solido, è stato uno degli ultimi maremmani ad aver indossato con continuità la maglia biancorossa scendendo in campo in oltre 200 occasioni tra il 1996 ed il 2005. Ripercorrere la sua carriera è come rivivere gli anni in cui l’Unione Sportiva Grosseto ha posto le basi per raggiungere quei traguardi ritenuti irraggiungibili per buona parte della storia della società unionista.

– Samuele Bogi, dalla Promozione alla serie C col Grosseto.

A Grosseto ho passato Nove anni importanti in cui ho toccato i vertici della mia modesta carriera calcistica. Naturalmente, ho ricordi bellissimi dei miei anni biancorossi.

– Ricordi la tua prima presentazione allo stadio ed il tuo esordio?

La mia prima presentazione a Grosseto è stato uno dei momenti più emozionanti della mia carriera. Avevo 20 anni e dare inizio ad un progetto di rinascita per la società dal punto di vista calcistico è stato per me un grande trampolino di lancio. L’esordio, se non sbaglio. lo abbiamo fatto a San Donato in Poggio: abbiamo fatto fatica a trovare il campo sportivo e la partita finì 2 a 2 con doppietta di Sani, se non ricordo male.

– La tua prima stagione in biancorosso è legata ai duelli contro l’Alabastri Volterra.

Le battaglie con il Volterra, ma soprattutto con l’attaccante Pellegrini, sono indimenticabili: ero giovane ed inesperto, ma credo di avergli dato del filo da torcere. Il ricordo dello spareggio me lo godo tutti i giorni, poiché conservo attaccata al frigorifero la foto della squadra prima della partita con lo sfondo della coreografia dei nostri tifosi. Dallo sguardo dei miei compagni si capiva che non ci sarebbe stata possibilità per i nostri avversari.

– L’anno successivo il Grosseto conquistò il passaggio in Serie D superando agli spareggi San Quirico e Renato Curi Pescara, squadra in cui con il numero 10 giocava Fabio Grosso.

Anche in questo caso sono ricordi più che gradevoli: il gol di Lagordi a Siena su rinvio di Montorsi e successivamente la trasferta di Pescara, nella quale speravamo di giocare allo stadio Adriatico e ci ritrovammo a giocare in un campo in terra battuta. Grosso si vedeva davvero che era un gran bel giocatore.

– Come descriveresti il Grosseto di quegli anni a chi non lo ha visto in campo?

Il Grosseto di quegli anni era una squadra davvero di altri tempi rispetto ad adesso. Tutti i Giovedi facevamo merenda nel magazzino del Pomata con pane, salame e vino. Era il nostro rito e ci ha portato lontano, oltre a servirci per creare un gran bel gruppo.

– Quali sono stati i tuoi compagni di squadra più forti con la maglia unionista?

Qui devo fare una distinzione: alcuni sono stati compagni, altri sono stati e continuano ad essere amici. Non posso non nominare Pieri, Ferri, Valvani e Miano, fino ad arrivare a Bellè, Pellicori, Pugliesi, Giglio e Sardelli. Qualcuno me lo scorderò sicuro, ma ho avuto la fortuna di giocare con tanti giocatori forti.

-Il passaggio da Moretti a Camilli e la scalata nel calcio professionistico tua e del Grosseto.

Per assurdo posso dire che è stato un passaggio normale, naturale. Penso di essere arrivato a quel livello nel momento giusto, nel momento di massima maturazione calcistica. Avevo 26 anni e, dopo un po di gavetta, mi affacciavo al calcio importante. E’ stata una grande soddisfazione.

– Quali partite ricordi con maggior affetto tra le molte che hai dusputato con il Grosseto?

Ce ne sarebbero tante, ma le prime che mi vengono in mente sono quella di Todi del 2002 dove agguantammo il secondo posto che ci ha valso il ripescaggio in C2, la partita di Ravenna nel 2004 con un pareggio agguantato all’ultimo tuffo con Sardelli e l’attesa della notizia del pareggio della Sangiovannese. Non dimentico nemmeno Grosseto-Rosetana del Maggio 2004, che ha sancito la vittoria del campionato di C2 con una giornata di anticipo proprio mentre festeggiavo le mie 220 presenze in biancorosso.

– In quegli anni sembrava che la stampa ti “dimenticasse” come titolare ad inizio stagione, ma poi ti ritagliavi sempre una buon numero di presenze.

La mia forza è stata sicuramente lavorare senza invidia. Tutti gli anni compravano giocatori nuovi che venivano per giocare, io mi ritagliavo il mio spazio e continuavo a lavorare sperando di mettere il mio lavoro al servizio della squadra. Ho avuto la fortuna di avere sempre abbastanza spazio e considerazione.

– Come è proseguita la tua carriera dopo che hai lasciato la Maremma?

Dopo una parentesi grigia a Poggibonsi, mi sono trasferito a Figline Valdarno dove abbiamo vinto Due campionati in Tre anni passando dalla Serie D alla Serie C1. Lasciata Figline, ho avuto un’altra esperienza a Città di Castello in Serie D e poi sono tornato al punto di partenza, cioè a Follonica, contribuendo a vincere il campionato di Prima Categoria.

– Ci sono allenatori che pensi ti abbiano dato qualcosa in più di altri?

Andreazzoli, Esposito, Indiani e Semplici sono stati i miei maestri. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa che è entrato a far parte del mio bagaglio tecnico. Altri, come Solimina, hanno dato al nostro gruppo quella serenità di cui avevamo bisogno in quel momento.

– Sei stato uno degli ultimi maremmani protagonisti con il Grosseto. Cosa ha significato per te indossare i colori unionisti negli anni della rinascita dopo la malaugurata gestione Anzidei e nei primi anni della scalata verso palcoscenici mai visti dal Grosseto?

Aver indossato la maglia del Grifone, per me, vuol dire essere un piccolo paragrafo della storia di questa società e di questa città. Seppur piccolo e meno importante di altri, ma l’importante per me è stato esserci e farne comunque parte.

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