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Calcio

Dottor Franco Simoni: “Nello spogliatoio si creano legami indelebili”

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Avvicinare il dottor Franco Simoni è come fare un tuffo negli anni Ottanta biancorossi, un periodo troppo spesso dimenticato della storia dell’Unione Sportiva Grosseto che merita di essere riscoperto. Ricominciamo con questo storico medico sociale unionista il nostro giro di interviste che ci porterà alla scoperta di molti aneddoti curiosi ed alla riscoperta di personaggi interessanti che hanno fatto parte della storia ultracentenaria del Grifone.

Come e quando sei diventato medico sociale del Grosseto?

<<Iniziai nel 1978 ad Orbetello, in Serie D, per dare una mano a Lamberto Pazzi, che lavorava insieme a me come tecnico di radiologia. La cosa mi piacque. Furono un impegno ed un ambiente molto stimolanti. Quando Lamberto venne chiamato ad allenare il Grosseto nell’estate del 1980 mi volle con sé, anche se il medico sociale ufficiale del Grosseto era da molti anni Werther Cambri, il “Dottorone”, come veniva simpaticamente chiamato. Ero da anni membro del Club Anno Zero e, ovviamente, da incallito tifoso, raggiunsi il top delle mie aspirazioni entrando a far parte del Grosseto: vivere dall’interno il mondo del calcio biancorosso che, almeno per me, contava più di ogni altro, era il massimo. Fra l’altro, dall’ottobre 1977 avevo cominciato ad occuparmi di Medicina dello Sport anche nel mio lavoro di tutti i giorni>>.

Per quanto tempo sei rimasto in carica?

<<Sono rimasto fino al 1987. Lasciai in quell’anno per molte ragioni, fra cui il poco tempo residuo dal mio lavoro poiché, oltre a medico Asl, ero anche medico di famiglia e ciò non mi permetteva di soddisfare esigenze sanitarie sempre più pressanti e di notevole responsabilità che i nuovi regolamenti e i progressi tecnici del calcio richiedevano. Ho sempre creduto che fare il medico di una società sportiva richiedesse tempo e dedizione, soprattutto dietro le quinte, durante tutti i giorni della settimana. Il giorno della partita era quasi una festa rispetto al lavoro degli altri giorni. Rimasi anche molto deluso dalla difficoltà di far capire ad alcuni dirigenti l’importanza fondamentale del settore sanitario nella gestione di una squadra di calcio. Le necessita aumentavano ogni giorno, ma così non era per il sostegno della dirigenza. Non per me, perché non ricevevo alcun compenso, ma per le attrezzature e i materiali da utilizzare e soprattutto per una mentalità che non usciva dall’idea che medico e massaggiatori c’erano “per forza”, ma disturbava molto quella loro “strana fissazione” che un infortunato…dovesse stare fermo  e curarsi bene prima di rientrare in campo>>.

Come era strutturato lo staff medico in quegli anni?

<<A parte il già citato Cambri, che lasciava fare spesso a me, c’erano due colonne del massaggio: Roberto Mannini e “Ciccio” Tognelli. Poi si affiancò  anche Giancarlo Scannerini per sostegno alle trasferte. Con Roberto e Ciccio ci fu un proficuo, reciproco e bellissimo scambio di esperienze umane e professionali, tant’è che poi Roberto venne a lavorare con me nel mio ambulatorio di Traumatologia dello sport. Ho sempre ritenuto il ruolo del massaggiatore fondamentale non solo per gli aspetti strettamente sanitari, ma soprattutto per i rapporti confidenziali con i calciatori. Con un bravo massaggiatore non c’è bisogno di uno psicologo per capire e spesso risolvere i problemi esistenziali di un giocatore>>.

Il tuo impegno come medico sociale ti portava anche in trasferta?

<<Sì, di trasferte ne ho fatte solo una parte, perché ce le dividevamo con Werther Cambri e Giancarlo Scannerini, che andavano più volentieri di me, spesso in coppia. Una volta ogni tanto non mi pesava, ma dopo la settimana di lavoro pesante stare fuori due giorni non era semplice>>.

Ci sono aneddoti che ricordi in particolare o episodi che ti hanno colpito?

<<Ce ne sarebbero tanti. Qualcuno lo ricordo come fosse ieri, altri restano un po’ sfumati. Dovrei citarne troppi di simpatici, a volte anche meno simpatici. Il mondo degli spogliatoi è davvero uno spettacolo teatrale fatto spesso di lazzi e scherzi goliardici, ma altrettanto spesso purtroppo anche di drammi. Lì dentro si creano rapporti affettivi indelebili. Ma voglio citare la cosa che più mi ha colpito di questi legami nati sul campo e nello spogliatoio. La foto che Nilo Palazzoli teneva in bella mostra nella sua tabaccheria alla stazione. In quella foto eravamo io e lui sul lungomare di Imperia, durante una trasferta di 30 anni fa. Un segno di stima, di affetto, di amicizia che mi gratificava e che io ho sempre ricambiato. Cose che non si dimenticano>>.

Pensi che il ruolo di medico sociale sia cambiato rispetto ai tuoi tempi?

<<È cambiato in positivo, alla grande! Da allora la medicina dello sport ha fatto passi da gigante a tutto tondo, dagli aspetti strettamente traumatologici a quelli igienico-alimentari, dagli obblighi dei controlli per l’idoneità alle metodologie degli allenamenti, all’antidoping e quant’altro. Ma, soprattutto, oltre alle normative più severe, è cambiata radicalmente la mentalità dei dirigenti e dei tecnici, che non vedono più i sanitari come controparte, ma come collaboratori preziosi, anzi indispensabili, per l’efficienza globale della squadra. Ai miei tempi solo pochi illuminati “ci volevano bene”>>.

Cosa ne pensi del calcio attuale e della situazione del Grosseto?

<<Del calcio attuale non penso bene. Sono nostalgico dei tempi in cui si andava e si poteva andare allo stadio in assoluta tranquillità e c’eravamo tutti, quei tempi in cui per vedere il Grosseto dovevi andare, per forza. Oggi lo sportivo sta davanti al televisore o al computer. Gli orari delle partite richiedono l’aiuto di una segretaria. Gli stadi sono desolatamente sempre più vuoti. Io pero faccio regolarmente l’abbonamento e regolarmente, salvo cause di forza maggiore, sono al mio posto di battaglia. Riguardo al Grosseto soffro molto la frequente situazione di incertezza. Vorrei poter rivivere presto un Maggio 2007 e un’altra finale all’Ardenza…con un altro arbitro!>>.

C’è qualche allenatore, giocatore, tecnico o dirigente che ricordi con particolare affetto?

<<Fra gli allenatori, oltre a Lamberto Pazzi, avevo un rapporto particolare, l’ho già detto, con Nilo Palazzoli, che è continuato anche fuori dagli spogliatoi. Un grande uomo soprattutto, a cui ero enormemente affezionato e che ancora oggi mi manca come può mancarti un carissimo amico che non c’è più. Era una persona speciale, dentro e fuori dal campo. Avevo un grandissimo rapporto di amicizia con Carlo Zecchini, con il quale però non avevo mai lavorato. Due grandi del calcio maremmano. Dei dirigenti ricordo con piacere e stima Sebastiani, Amarugi e Faralli e anche l’amico Cinelli. Se ci fossero stati ancora loro forse non avrei lasciato>>.

Parlando con un medico, diventa inevitabile parlare della piaga del doping nello sport.

<<Un tasto molto dolente, anche se il calcio ne è quasi estraneo. Un argomento che richiederebbe molto piu spazio per rispondere. I controlli antidoping sempre più severi e serrati hanno limitato molto il fenomeno, tant’è che le uniche positività nel calcio, negli ultimi 20 anni, sono limitate a cocaina e marijuana che spesso e volentieri sono usate per scopi voluttuari e non per frode sportiva. Le rarissime positività per anabolizzanti sono dovute di solito all’uso di integratori inquinati acquistati su internet e non ad un loro uso consapevole. Integratori che vengono usati a sproposito e a dosi esagerate tanto da essere definiti come “pseudo-doping”>>.

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Grazie Doc, sei l’unico che ha commentato. Grande successo dei vecchi uomini biancorossi.
Chissa, forse se avevo giocato mezza partita in un lontano anno sarei stato piu apprezzato?
Che ne dici?

Il Grosseto ti entra nel cuore e con lui i suoi uomini..é la storia che finisce col vivere in te, poi c’é il mito, la nostalgia, i ricordi..uno per ogni grado e della tribuna, uno per ogni stelo della magica erbetta..poi, poi, lo sport é anche questo.. A presto!

Grande dottore, prima o poi dovremo mangiare quella pizza, no? A presto e sempre ‘Forza Grosseto’!

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