Consonni: “Grosseto ormai è casa mia”

Luigi Consonni (1977), il professore. 199 presenze con il Grosseto, senza contare i playoff, una carriera infinita che lo vede tuttora protagonista vincente con il Roselle a trentotto anni. Un calciatore che ha diviso i tifosi in tribuna allo Zecchini, ma che è anche e soprattutto il simbolo di un Grifone che infiammava i cuori degli appassionati sognando e quasi toccando la serie A.

Il tuo primo impatto con Grosseto risale al mese di aprile del 1995, in occasione del memorial per Francesca e Viviana.

<<Ricordo un viaggio lunghissimo per arrivare a Grosseto. Ci ritrovammo direttamente in Maremma con la nazionale under19 che era allenata da Luca Giannini. Fu una esperienza incredibile: oltre al torneo per Francesca e Viviana facemmo anche una tournée che ci portò in Arabia, in Qatar, a El Salvador e in Florida a Miami. In quella squadra c’erano molti c che poi hanno giocato ad alto livello come Grabbi, Fantini e Oddo. Quella formazione era composta da giocatori nati nel 1975-76 ed io ero uno dei più giovani, visto che sono nato nel 1977.>>

A quell’epoca giocavi nel vivaio della Juventus.

<<Il mio allenatore alla Juventus era Cuccureddu, con me giocavano Grabbi, Fantini, Simone Loria e Tommaso Rocchi. Era una squadra giovane, ma vincemmo la Coppa Italia contro il Bari in cui giocava Ventola e perdemmo in campionato contro il Brescia di Pirlo. L’anno in cui la Juventus vinse la Coppa Campioni contro l’Ajax venni convocato per la partita di Bucarest contro la Steaua ed andai in tribuna. Di quel giorno mi rimane la maglia che mi feci dare per ricordo anche se non giocai.>>

Un’esperienza indimenticabile.

<<Furono due giorni incredibili. Eravamo nella fase a gironi e la Juventus era già qualificata: dovevamo andare a Bucarest, ma ci fecero atterrare in Bulgaria perché nevicava e ci rimandarono dopo sette ore a Torino. Il giorno dopo effettuammo un allenamento al Delle Alpi e ripartimmo per la Romania. Essere a contatto con campioni di quel calibro a diciotto anni è il massimo e resti lì con gli occhi sgranati a sperare che quella giornata non finisca mai.>>

Hai avuto altre convocazioni in bianconero?

<<Sono stato convocato in Coppa Italia contro l’Atalanta andando in panchina ed in campionato contro la Roma sistemandomi in tribuna.>>

Dalla Juventus venisti mandato a Fiorenzuola.

<<La Juventus mi mandò a Fiorenzuola, il primo anno in prestito poi in comproprietà. A quei tempi era difficile emergere subito con una squadra di livello come la Juventus e tenevano in considerazione soltanto quelli in cui credevano maggiormente, così alla fine rimasi in via definitiva al Fiorenzuola.>>

Dopo quattro anni, però, cambiasti maglia.

<<Lasciata Fiorenzuola mi accasai a Rimini e fu una bella esperienza, anche se perdemmo in semifinale contro il Teramo i playoff. Da lì andai in B alla Pistoiese e fu il mio primo campionato importante in quella categoria. L’anno seguente mi prese il Cosenza, investendo molto su di me, ma non fu un annata positiva ed a gennaio mi trasferii alla Salernitana.>>

Del tuo periodo con la Spal cosa ricordi?

<<Rimasi a Ferrara per un campionato e mezzo. Il secondo anno ricordo che giocai Spal-Napoli con la maglia della Spal ed il ritorno con quella napoletana.>>

A Ferrara conoscesti mister Massimiliano Allegri.

<<Fu proprio quando giocavo nella Spal che conobbi Allegri ed è lì che è iniziato qualcosa di particolare. Collego sempre Grosseto ad Allegri perché fu proprio lui a volermi in biancorosso, visto che mi conosceva già per avermi allenato a Ferrara. Ero andato a Napoli in comproprietà tra la società partenopea e la quella ferrarese, poi la Spal mi riscattò pensando di girarmi all’Arezzo in serie B ma non se ne fece nulla perché la Spal fallì ed io rimasi a piedi. Allegri, nel frattempo, aveva firmato a Grosseto e mi chiamò. Aveva già fatto arrivare in Maremma La Canna e Berrettoni, così mi chiese di venire a dare una mano.>>

La storia ci racconta che accettasti la proposta.

<<Accettai e suggerii al mister di portare a Grosseto anche Carl Valeri che proveniva dalla Primavera dell’Inter ed era andato a fare qualche provino in Inghilterra dopo aver giocato con me nella Spal. Considero il 2005, con il mio arrivo a Grosseto, l’inizio di una carriera a parte.>>

Prima di parlare di questo, però, torniamo indietro ai tuoi sei mesi a Napoli.

<<Una esperienza pazzesca. Sei mesi a Napoli valgono come due anni da qualsiasi altra parte. Sono stati ei mesi intensi: a Napoli c’è una passione che non esiste altrove. Ho avuto la fortuna di siglare due gol al San Paolo, di cui uno al 92° con quarantamila persone in tribuna ed è una esperienza davvero unica. Non succederà mai, ma sono convinto che il Napoli porterebbe settantamila persone allo stadio anche se scendesse nei dilettanti.>>

Un giorno del 2005 arrivasti a Grosseto…

<<Venni con Nicola Binchi, mio ex compagno di squadra nel Fiorenzuola. Arrivai dopo un viaggio lughissimo sull’Aurelia e mi ricordai del torneo di dieci anni prima con la under19. Ricordo che arrivai ad agosto in ritiro ed avevamo la partita Coppa Italia contro il Mantova, ma non giocai quella partita. A quei tempi c’era ancora la curva bassa ed alla rete di Pellicori comparve uno striscione con scritto “Ma chi ha segnato?” perché non si vedeva niente.>>

Come fu il tuo impatto con la Maremma?

<<Il primo impatto non fu semplice e ci volle un po’ per ingranare. Era l’anno in cui perdemmo in finale contro il Frosinone e ci furono molti cambi in panchina. Ricordo che Allegri aveva smesso da poco e si sentiva ancora giocatore, ma si vedevano già le qualità che ha messo poi in mostra nelle stagioni successive. A Grosseto non è stato fortunato, forse perché non ha trovato l’ambiente giusto. Per avere successo deve esserci l’alchimia giusta: questo vale anche per i giocatori. Penso ai tanti che sono passati dalla Maremma e mi rendo conto che alcuni hanno fatto sfracelli come Pinilla o Lazzari, mentre altri hanno faticato per poi esplodere in seguito.>>

Il 2006-07 rimarrà nella storia unionista per la promozione in serie B.

<<Ci sarebbero da raccontare davvero tanti aneddoti su quella stagione, ma ne cito uno che vale per tutti: dopo il rigore sbagliato ad Ivrea, dove c’era in porta Caparco che poi sarebbe arrivato a Grosseto, Cuccureddu sembrava orientato a non schierare Cipolla alla penultima giornata contro la Cremonese. Il mister chiamò me, Di Meglio ed Amore dicendoci che aveva intenzione di non far giocare Giovanni Cipolla e noi gli consigliammo di ponderare bene la scelta valutando bene le conseguenze che avrebbe potuto avere sul piano mentale. Contro la Cremonese Cipolla giocò e mise anche a segno una doppietta. Anche questo testimonia l’alchimia e la fiducia che c’era tra noi ed il tecnico.>>

Quale pensi che sia stato il clou della tua carriera?

<<D’istinto dico la vittoria di Padova nel 2007. Di quel giorno conservo ancora tutto e riguardo spesso i video che si trovano tuttora in rete. È stata la mia unica promozione da professionista e rappresenta con i playoff per andare in serie A il culmine della mia carriera.>>

E quei playoff contro il Livorno?

<<Quello è un rimpianto per quello che poteva essere e che non è stato. Grosseto meritava la serie A almeno per un anno, se non altro per l’attaccamento che la tifoseria aveva dimostrato in quel periodo.>>

Una nota sicuramente dolente è rappresentata dal famoso rigore che tirasti contro la Reggina.

<<Nella carriera di un calciatore non ci sono soltanto le cose belle, quindi è giusto parlare anche di questo. Il rigore contro la Reggina è l’inizio del periodo più brutto della mia esperienza di calciatore. Più brutto di qualunque infortunio o di qualunque altro evento negativo legato al calcio. Essere accusati di sapere ed essere associati a certe cose non è piacevole, anche se ne mio caso si trattava di una accusa di omessa denuncia. Vieni sbattuto nei giornali nella formazione degli indagati e questo insinua dei dubbi anche in chi magari fino al giorno prima ti ha considerato un idolo. Ho passato un mese e mezzo senza uscire di casa, anche se ero tranquillo, perché avevo sempre quel senso di disagio ad infastidirmi. Quel rigore è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una situazione che si era fatta pesante e mi sfogai in sala stampa. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se lo avessi sbagliato…>>

Non hai voluto patteggiare.

<<Nella giustizia sportiva devi trovare le prove della tua innocenza ed io non volli patteggiare perché sapevo di essere a posto. Mister Sarri ed io non patteggiammo. Risultammo totalmente estranei ai fatti, aiutando così anche il Grosseto ad essere assolto nel secondo grado di giudizio.>>

Nel 2012 si è chiusa la tua esperienza di professionista.

<<Dal momento in cui la società ha deciso di non confermarmi, ho preferito defilarmi e stare in silenzio. Questa penso che sia la prima volta che rilascio un’intervista da allora, a parte una in cui sono stato intervistato come doppio ex di Spal e Grosseto. A trentacinque anni avevo la possibilità di andare alla Salernitana, ma non me la sentivo di spostarmi ancora e decisi di terminare la mia carriera di professionista scendendo nei dilettanti con l’Albinia.>>

Ti senti ancora con qualche tuo compagno di squadra biancorosso?

<<L’importante non è sentirsi spesso, ma lasciare un ricordo che ti permette di rivederti con qualcuno anche dopo anni e scoprire di avere ancora qualcosa di forte che ti unisce a lui. Non è sempre facile rimanere in contatto con tutti, ma ho un buon rapporto con molti miei ex compagni come Pichlmann, Sansovini, Gessa, Melucci e Di Meglio. Mi sento anche con mister Sarri e con lo staff di Allegri.>>

E con i vari Carobbio, Turati e compagnia cantante?

<<No, con loro proprio no. Li ho anche tolti dai contatti su Facebook. Quello che mi stupisce è vederli ancora in giro nei campi di calcio come giocatori o allenatori. Mi chiedo cosa abbiano da insegnare ai ragazzi… Lasciamo perdere, è meglio…>>

In città sei tuttora amatissimo.

<<Il mio rapporto con la città è splendido. Molti ancora mi salutano e mi riconoscono, c’è anche chi mi rimpiange e magari si tratta delle stesse persone che mi dicevano che ero lento quando giocavo nel Grosseto. Lo dico con il sorriso, è chiaro, ma penso anche che un giocatore debba saper affrontare gli sbalzi di umore di certi tifosi che una domenica ti esaltano e quella dopo ti urlano dietro. Non penso, parlo per me, di essere un fenomeno e nemmeno uno scarpone. La verità sta sempre nel mezzo e spesso le fortune dei giocatori dipendono da come vengono visti dai tecnici. Non mi sarei mai immaginato di rimanere a vivere qua, specie se considero il fatto che sono a 350 chilometri dai luoghi di origine della mia famiglia, ma ormai considero Grosseto la mia base.>>

Quest’anno hai vissuto una grande stagione con il Roselle.

<<Molti possono pensare che vincere in Prima Categoria sia meno gratificante rispetto ad una vittoria tra i professionisti, ma vincere non è mai facile ed una vittoria è sempre una vittoria. Nei dilettanti non si gioca per il denaro, ma avere una solidità economica aiuta: questo vale anche per me che non ho sperperato quello che ho guadagnato da professionista. A Roselle ho trovato una società vera con un’organizzazione che in alcuni casi non c’era nemmeno al Grosseto. C’è professionalità: la società dà tanto ed i calciatori, di conseguenza, sono invogliati a dare altrettanto. Questa mentalità, che non ha nulla da invidiare al professionismo, penso che faccia comprendere come la famiglia Ceri voglia portare avanti un progetto importante per il Roselle.>>

In questo progetto ci sarà ancora Consonni?

<<Questo andrà valutato e ponderato bene perché inizio ad avere 38 anni. Una cosa è certa: se continuo a giocare, lo faccio soltanto con il Roselle. Il mio futuro è in panchina, ma sono indeciso se allenare da subito o giocare ancora. Devo decidere a breve perché se prendo il patentino di allenatore professionista non posso più giocare a calcio. Quest’anno sto allenando i Giovanissimi del Roselle ed è una esperienza incredibile. Sono loro le mie cavie e faccio con loro i miei esperimenti. Ho deciso di trattarli da adulti anche se hanno quindici anni: magari sbaglio, ma per adesso sta andando tutto per il verso giusto.>>

Per concludere questa intervista torniamo ai tuoi esordi e facciamo un gioco. Sei a Fiorenzuola, la Juventus ti riprende con sé ed esplodi. Cosa sarebbe successo?

<<Secondo me, avrei fatto una bella carriera. Il mio unico cruccio è quello di non aver mai esordito in serie A e penso che mi sarei potuto ritagliare i miei spazi, considerando anche il fatto che progressivamente il livello è sceso sempre di più. Senza contare, poi, il fatto che adesso in panchina ci vanno molti più giocatori rispetto a vent’anni fa ed anche questo aiuta a far esordire un maggior numero di calciatori. Anche io, comunque, mi prendo le mie colpe tra errori di gioventù, scelte dei procuratori che si sono rivelate sbagliate, maturazione che è arrivata tardi ed altri fattori che possono avere inciso. Sono convinto che se fossi arrivato a giocare in qualche modo in serie A, poi ci sarei rimasto per molti anni facendo una buona carriera.>>

Giulio De Paola

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