Balestrelli: “Ho sempre sofferto la nostalgia di casa”

Roberto Balestrelli (classe 1956) è stato uno dei giocatori più talentuosi che abbiano mai indossato la maglia del Grosseto. I tifosi con qualche anno sulle spalle se lo ricordano bene per i suoi piedi buoni, ma anche per la sua clamorosa fuga da Cagliari nel 1982.

Quando hai esordito con la maglia del Grosseto?
<<Era il 1974 e provenivo dalle giovanili della Fiorentina, ma quell’anno non trovai molto spazio perché ero giovane. A Firenze sono stato due anni, poi venni via perché sentii nostalgia di casa. Sono rimasto a Grosseto fino al 1982, tranne una breve parentesi a Cecina in Interregionale durante il servizio militare con Pazzi allenatore, quando provai l’avventura in Sardegna con il Cagliari in Serie A>>.

Nell’estate 1982 hai avuto la tua occasione a Cagliari ed approdasti in rossoblu insieme a Marco Branca.
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Mi avevano già richiesto altre squadre importanti, ma volevo rimanere a casa ed a 26 anni accettai quella che era l’ultima mia occasione per arrivare nella massima serie. A quei tempi la Serie A era un bel campionato, avevamo appena vinto i Mondiali. Provai questa avventura e in precampionato andai bene, ma poi scappai come avevo fatto già a Firenze. Non mi mandarono via, scappai “alla zittina” con la nave. Avevo cominciato bene, poi mi venne la pubalgia all’inizio del campionato e un po’ per questo, un po’ perché ero depresso dall’essere a Cagliari e decisi di tornare a casa mia. Avevo accettato la proposta del Cagliari anche perché il ritiro lo facevano ad Abbadia San Salvatore, che è abbastanza vicino a casa mia visto, che abito a Manciano. Appena passai il mare, però, mi prese male. A Cagliari, tra l’altro, arrivai insieme a Walter Mazzarri>>.

Che ricordo hai di Branca?
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Quell’anno c’era Giagnoni come allenatore e, forse, ho fatto la fortuna di Marco Branca. Branca venne a Cagliari con me, ma era nella Primavera e non andava bene. Presero Poli del Bologna, mentre Branca rischiava di tornare a casa perché non stava convincendo la dirigenza cagliaritana: con il mio addio forse ho contribuito alla sua carriera poiché, andando via io, a Cagliari rimasero senza la terza punta e si creò lo spazio in prima squadra per lui>>.

Sei rimasto famoso per le tue fughe.
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Sono fatto così, non mi ha mai mandato via nessuno. Mi hanno sempre cercato tutti e mi hanno elogiato anche grandi tecnici come Galeone e Scoglio, che mi voleva alla Reggina, ma ho sempre sofferto la nostalgia di casa e questo ha fatto sì che rinunciassi a fare carriera>>.

Nel 1987 tornasti per un breve periodo al Grosseto.
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Nel 1987 sono tornato a Grosseto, ma non ero più quello di qualche anno prima. Ero ingrassato, non mi allenavo, ero invecchiato fisicamente. Quell’esperienza non fa testo: i tifosi si ricordano ancora quello che ero nel mio primo periodo in biancorosso, i miei anni migliori>>.

Che tipo di giocatore eri?
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La natura mi aveva dato delle belle doti: ripartivo da fermo in velocità ed avevo una buona tecnica. Anche se subivo tanti falli, l’uomo lo saltavo sempre con facilità e non avevo problemi nemmeno con la doppia marcatura. In quegli anni non era come adesso che fioccano le ammonizioni: giocatori come me o Paolo Rossi sono stati massacrati a forza di subire falli. Se giocassi ora, costringerei gli avversari a giocare con mezza squadra a causa dei cartellini rossi>>.

La nostalgia ha influito non poco nelle tue scelte professionali.
<<L’amore per la mia terra mi ha condizionato la carriera anche quando ero a Grosseto: in quegli anni mi capitava anche di fare tre volte il percorso fino a Manciano nella stessa giornata. Quando mi ritrovai a Cagliari la nostalgia esplose in tutta la sua evidenza e scappai dall’oggi al domani. Feci il ritiro poi dovevo esordire in Coppa Italia ma mi venne la pubalgia e non giocai. Al mio posto giocò Mazzarri, mentre al ritorno andai in panchina anche se sapevo che non sarei stato in grado di scendere in campo. A Cagliari compravo interi sacchetti di gettoni telefonici per telefonare a quella che allora era la mia fidanzata ed ora è mia moglie. Iniziò il campionato e alla prima giornata dovevo andare in tribuna, ma presi armi e bagagli e scappai a casa mia a Manciano rimediando una dura ramanzina da Gigi Riva che era dirigente rossoblù. Non ne potevo più di stare a Cagliari e, su due piedi, decisi di tornare a casa. Non portai via nemmeno la maglia, soltanto le scarpette, e dissi al magazziniere “Non mi hai visto”. Scappai così. Non avevo nemmeno da dormire nel traghetto e rimasi su una sedia. Quando sbarcai a Civitavecchia, mi sembrò di essere fuggito da Alcatraz. Paragono tutto questo alla famosa “saudade” dei brasiliani>>.

Hai qualche rimpianto?
<<A me è sempre piaciuto stare con i miei amici, tra merende e cene e questo ha influito sulla mia carriera perché avrei potuto raccogliere molto di più. Non ho rimpianti, ma se avessi saputo che poi sarebbe arrivata la crisi avrei resistito magari almeno un anno a Cagliari per avere qualcosa in più in tasca>>.

C’è qualcosa che ti ha insegnato la tua esperienza di calciatore professionista?
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Il calcio professionistico mi ha aiutato a limare certi aspetti del mio carattere a volte anche un po’ impulsivo. Soffrivo la nostalgia di casa anche a Grosseto, ma proprio l’esperienza in biancorosso è quella che mi ha formato di più a livello personale. Ero uno che diceva le cose in faccia, non come certi calciatori che rilasciano dichiarazioni tutte uguali che sembrano fatte con lo stampino: ero schietto, diretto ed ho fatto anche le mie bischerate, perciò penso che l’esperienza professionistica mi sia servita per migliorarmi sotto questo punto di vista>>.

Giulio De Paola

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