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Alessio Dionisi, il nuovo volto della Serie A

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In soli tre anni dalla Serie C alla Serie A, in seguito a tre esperienze diverse e in squadre del tutto differenti, riuscendo sempre a concretizzare risultati più che ottimi.

Alessio Dionisi, nato ad Abbadia San Salvatore, e cresciuto a Piancastagnaio, ha iniziato la sua carriera da calciatore proprio nella Pianese, passando poi nelle giovanili del Siena. Un ragazzo che ha vissuto la sua infanzia e la sua adolescenza in un piccolo paese, crescendo e coltivando la sua passione, quella per il calcio, a cui ha sempre aspirato come un traguardo da raggiungere, anche se ben conscio dei tanti ostacoli da affrontare per poter arrivare al successo professionale. Ma in fondo ha sempre saputo che il suo futuro sarebbe stato quello di guidare la squadra dalla panchina. E così è stato.

Lo troviamo adesso, come primo e unico allenatore di tutta la Provincia di Siena ad allenare in Serie A, uno dei volti nuovi del campionato 2021/22, che si era già guadagnato il vertice del calcio italiano dominando il campionato di serie B con l’Empoli, e che invece è stato scelto per portare avanti il progetto ambizioso del Sassuolo, portando avanti il lavoro di Roberto De Zerbi. Ed è proprio grazie agli ottimi risultati ottenuti nelle ultime tre stagioni che il Sassuolo ha messo gli occhi sul mister amiatino.

Mister Dionisi si racconta a Grosseto Sport.

Mister, come sta andando questo primo anno di Serie A? Ricordiamo che in questa prima parte di stagione, il tuo Sassuolo è stato in grado di battere squadre blasonate come il Milan e come la Juventus, esprimendo sempre un bel gioco, che è da sempre punto di forza della società neroverde. Quale obiettivo vi ponete?

«Sicuramente stiamo facendo un percorso discreto, e abbiamo margini per migliorarci. Non è facile, perché ad oggi non siamo riusciti molto a dar continuità alle vittorie. Come siamo stati bravi a fare prestazioni importanti e ad ottenere risultati importanti con le squadre che hai citato tu in precedenza, delle volte, invece, non siamo stati all’altezza delle vere nostre concorrenti, quelle che ci ruotano intorno in classifica. Questo sicuramente deve essere uno dei nostri obbiettivi, quello di volerci migliorare quotidianamente. Poi avendo tanti giovani bisogna mettere in conto tutto, dobbiamo spingerli e motivarli, prendere quello che di buono fanno e ovviamente supportarli anche quando le cose non vanno nei migliori dei modi. Sinceramente il percorso per me è positivo, ovviamente sto parlando fino ad oggi, poi da domani, anzi già da adesso, dobbiamo pensare alla prossima partita e soprattutto non dobbiamo dare nulla per scontato.»

 Come hai detto in precedenza il Sassuolo ha tantissimi giovani talenti. Quanto è difficile bilanciare il lavoro con loro, che comunque necessita sicuramente di tempo, con un calcio come quello moderno dove il risultato viene chiesto praticamente nell’immediato?

«Sinceramente per me lavorare con i giovani è semplice, perché è una cosa che ho sempre fatto. Quando ho iniziato ad allenare in Serie D, la metà dei giocatori era minorenne o appena sopra la maggiore età e quindi ci sono abituato. Effettivamente, come dicevi tu, il tempo ce n’è sempre meno, e quindi, a volte, non è facile supportarli. Dobbiamo però spingerli a far sempre meglio quando già stanno facendo bene e non abbatterli quando magari fanno meno bene.»

 Come ti senti ad essere diventato un punto di riferimento sia per il calcio toscano che per gli allenatori in generale? Nel corso della tua carriera, probabilmente dall’anno dell’Imolese in poi, guadagnandoti tutto sul campo, sei riuscito ad arrivare in pochi anni al vertice del calcio italiano…qual è il segreto?

«Sulla prima parte della domanda, devo dire che sinceramente non mi sento un punto di riferimento. Ovviamente se gli altri mi vedono così è una cosa che assolutamente mi inorgoglisce, mi fa molto piacere, ma non me ne rendo conto. Più che altro spero che il mio percorso serva a spronare tante altre persone. C’è da dire però che il mio percorso è l’eccezione, sono stato anche fortunato. Sicuramente avrò avuto dei meriti, insieme ai giocatori, ai dirigenti e alle squadre che ho allenato, ma non capita spesso di partire ad allenare in Serie D e ritrovarsi ad allenare in Serie A, soprattutto in una realtà come quella del Sassuolo. Ci vuole anche una buona dose di fortuna nelle scelte che si fanno. Sul fatto di esserci arrivato… beh, più che altro mi piacerebbe rimanerci. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a questo livello, non ho mai allenato con questa idea in mente, lo facevo per migliorarmi, perché secondo me allenando ci si può mettere in discussione. L’obbiettivo però ora è rimanerci, cosa molto più difficile.»

Ci puoi raccontare qualcosa sugli anni da giocatore nella US Pianese, hai qualche aneddoto particolare da confidarci?

«Mi ricordo tante cose di quegli anni… avevo sedici anni quando giocavo nella Pianese. Inizialmente ero alla Fiorentina, poi da lì sono andato nelle giovanili del Verona, ma non avendo poi trovato un accordo con la squadra sono tornato a casa, e per non perdere la scuola mi ero iscritto a Montepulciano. Nel frattempo mi allenavo con la Pianese, che era stata la mia prima squadra da bambino, e dopo poco ho iniziato a giocare in prima squadra in promozione con Vincenzo Sabatini, con Mauro Sani, e con tanti altri giocatori. Per me loro erano degli idoli, perché da piccolo andavo sempre a vedere la Pianese la domenica, nonostante fosse in prima categoria. Oltretutto, nel campionato di Serie D 2017/18, l’ho anche affrontata da allenatore del Fiorenzuola, ci siamo trovati infatti nello stesso girone. Altri ricordi particolari sono quelli degli allenamenti al Saragiolo, mi ricordo che faceva un freddo incredibile. Adesso ho sempre il privilegio di allenarmi a orari con un clima molto più mite, ma in quegli anni, allenarsi a 1000 metri e alle 8 di sera era tremendo. Rimane comunque un bellissimo ricordo. Poi, se sono quello che sono diventato oggi, sicuramente qualcosa lo devo anche a quelle stagioni, perché sono dell’opinione che tutte le annate lasciano qualcosa. In quegli anni ero solo un ragazzo, ma che stava già costruendo una sua personalità, e questo lo devo anche ai tanti senatori della squadra che mi davano una mano.»

 Lo scorso 11 novembre sei stato premiato da Maurizio Sani, presidente della US Pianese, con la Briglia d’Oro 2021, un premio importante e sicuramente uno degli eventi più prestigiosi tra quelli sportivi in Toscana. Come ti senti ad aver ricevuto questo premio e soprattutto dalle mani del Presidente della squadra dal quale sei partito?

«È stato molto particolare, per me è stata davvero una bellissima cosa. Sicuramente giocavo in casa, perché ho visto moltissime facce amiche. È stato particolare perché tre anni prima ero andato allo stesso evento per ricevere il premio rivelazione allenatore toscano, in seguito alla stagione fatta con l’Imolese, e quell’anno la Briglia d’Oro era stata consegnata a Leonardo Semplici. Mai avrei pensato che tre anni dopo sarei stato al suo posto.»

Chi è stato il tuo punto di riferimento come allenatore e in quale momento della tua carriera da calciatore hai capito che allenare sarebbe stato il tuo futuro?

«Idealmente, tutti gli allenatori mi hanno lasciato qualcosa, anche quelli con cui ho avuto meno feeling. Sicuramente ho cercato di rubare un qualcosa da tutti, ma se devo citarne uno ti dico Stefano Vecchi, che è l’attuale allenatore della Feralpisalò. Io l’ho avuto alla Tritium, la squadra di Trezzo sull’Adda in Lombardia, e con lui sono stato due anni. In quei due anni abbiamo vinto due campionati, e sicuramente ho un bellissimo ricordo, anche perché è pure grazie a lui che ho deciso di iniziare presto ad allenare. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda diciamo che ho iniziato a pensare di diventare allenatore dai 27 anni. In tutte le squadre in cui ho giocato, gli allenatori mi identificavano sempre come un capitano. Per me era molto importante che i miei compagni mi identificassero come un leader. Molti di loro, a distanza di tempo, mi dicono che tutti erano pronti a scommettere che avrei fatto l’allenatore. In tanti ora mi dicono “te lo avevo detto” ed effettivamente è vero che me lo avevano detto.»

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