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Grosseto Calcio

Giacomo Russo: allo Zecchini mi sento a casa

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Giacomo Russo (1960), nella sua lunga carriera conclusa nel 2000, ha indossato a più riprese la maglia unionista in Serie C2 e poi in Interregionale prima di diventare apprezzato tecnico.

– Come è iniziata la tua lunga carriera?

Dopo aver fatto tutta la trafila nelle giovanili unioniste fino alla Berretti, debuttai in prima squadra nel 1978. Quell’anno partimmo con qualche ambizione, ma avemmo qualche problema societario prima che arrivasse Amarugi. In rosa c’erano molti ragazzi grossetani come Bistazzoni, Balestrelli, Maiolino, Rosi, Marini e la chioccia Ciacci. Successivamente, nel 1979, arrivarono altri giocatori di esperienza come Dolso, Salvori e Tresoldi che avevano avuto una bella carriera: Dolso veniva dalla Lazio, Salvori dalla Roma, Tresoldi dal Milan. Me li ricordavo sulle figurine qualche anno prima, e giocarci insieme fu piacevole. Dolso era l’estro, Salvori era tutto d’un pezzo anche sotto il profilo della professionalità e Tresoldi era una persona eccezionale. A giocare con loro avevo la possibilità di vedere come era fatto il calcio a livelli più alti e mi predisponeva ad avere un atteggiamento giusto. Alcuni di questi grossetani come Balestrelli, che poi non continuò per ragioni sue, o Bistazzoni fecero un bel salto nelle stagioni seguenti: in particolare, proprio Bistazzoni rimase a livelli elevati per molti anni come portiere della Sampdoria, della Triestina e del Milan prima di fare il preparatore dei portieri per molti anni con le giovanili blucerchiate. Siamo cresciuti l’uno a fianco dell’altro e lo incontrai quando ero allenatore della Primavera del Grosseto, siamo rimasti sempre in buoni rapporti.

– Nel 1982-83 tornasti a Grosseto, dopo aver giocato con Casale e Cerretese, ma la squadra retrocesse in Interregionale, nonostante la presenza di Dolso e le Nove reti di Fiaschi.

Anche quell’anno, per quanto non mancasse la presenza della società, fu un anno complicato. Era una squadra molto giovane, anche più giovane di quella del 1978. Partì con grande entusiasmo, ma nel girone di ritorno forse ci sentimmo troppo sicuri della salvezza ed avemmo un calo mentale che ci costò la permanenza in C2. C’era il portiere Bianchi, c’era Dolso, ma i giovani forse non seppero reagire alle difficoltà che subentrarono nel corso della stagione e ci fu questa disfatta nel ritorno che ci portò alla retrocessione giunta con la sconfitta in casa nello scontro diretto con il Civitavecchia negli ultimi minuti.

– Una pagina importante della carriera è stata il quinquennio con la paganese dal 1983 al 1988.

Le mie origini sono, più o meno di quelle parti, ma provengo da una zona un po’ più tranquilla rispetto a Pagani. Mi trovai in un altro mondo, non soltanto sul piano calcistico: a Grosseto, ma nelle altre piazze in cui avevo giocato, non c’era l’esasperazione che trovai a Pagani. Alla Paganese, quando le cose andavano bene, capitava di avere tutto pagato nei locali, ma se le cose andavano male erano dolori ed apostrofavano per strada noi giocatori in qualsiasi maniera. Sono cose da mettere nel conto se si vuol fare un certo tipo di carriera e questa esperienza mi è servita a tirar fuori aspetti del mio carattere che fino a quel momento erano rimasti nell’ombra. In quegli anni mi sono completato sia come giocatore che come persona e tuttora conservo delle amicizie in quelle zone.

– Quale era la posizione in campo che prediligevi?

Partii come centrocampista, sia nelle giovanili che nei miei primi anni con il Grosseto, ma il salto di qualità lo feci quando fui spostato a giocare come libero in mezzo alla difesa. Interpretavo il ruolo non in maniera distruttiva, ma costruendo il gioco. Sopperivo alla poca velocità con l’anticipazione tattica. Quello è stato un bel salto nell’evoluzione della mia carriera che mi è servito anche quando sono tornato a centrocampo, mi ha dato sicurezza. Quando tornai a Grosseto iniziai da libero, poi ci fu bisogno di far giocare Chechi e venni sfruttato a centrocampo con buoni risultati.

– Nel 1989-90 vestisti di nuovo i colori biancorossi per tre anni in Interregionale arrivando dalla Vigor Lamezia dove eri stato una sola stagione. Anche quelli non fu un anno facile con il caso Pinton e le dimissioni di Romano Sebastiani.

Ho un po’ di esperienza nel calcio e credo che una persona come Sebastiani è stato uno dei migliori sul piano della gestione della squadra. Strinsi con lui una bella amicizia. L’anno che tornai a Grosseto, nel 1989, allestì una ottima squadra: trovammo Pistoiese e Viareggio che fecero campionato per conto loro, ma fino a quando non emerse la questione Pinton con le dimissioni di Sebastiani arrivate senza che Pieruzzini intervenisse per richiamarlo, eravamo a ridosso delle prime posizioni. Avremmo potuto rimanere in ai piani alti fino in fondo: in quella squadra c’erano Pannini, Cacitti, Meacci e molti altri giocatori di qualità. La squadra era stata costruita molto bene, ma venne fuori questo inconveniente improvviso di Pinton che si rivelò per la bufala che era, scombussolando l’ambiente e portandolo ad un declino che ci fece concludere a metà classifica. C’era tutto per fare bene quell’anno: Dolso come allenatore sapeva tenere bene il gruppo, c’era un bell’ambiente e quell’anno avremmo potuto fare qualcosa in più.

– La retrocessione nel 1991-92, giunta nonostante il ritorno di un vecchietto terribile come Borghi, sancì il tuo addio al Grosseto.

Continuai con il Casteldelpiano dal 1992 al 1995, poi andai a Pienza fino al 1998 e giocai la mia ultima partita nel 1999-2000 con la Pianese. In quegli anni svolgevo il doppio ruolo di allenatore-giocatore e vinsi il campionato di Promozione con il Casteldelpiano.

– Terminata la carriera di calciatore, sei diventato uno dei tecnici più apprezzati in Provincia. Adesso ti occupi dei giovani, cosa cerchi di trasmettere loro?

Ho sempre lavorato con i giovani, negli anni scorsi sono stato allenatore della Berretti e della Primavera del Grosseto. Ora ho una scuola calcio e mi occupo di bambini dai cinque agli undici anni. Avevo intenzione di aprire una mia scuola calcio già quando stavo concludendo la carriera di giocatore e volevo trasmettere quello che era stato trasmesso a me quando ero giovane. Valori come la non esasperazione della partita e del risultato per me sono importanti e credo che sia importante anche vedere il calcio come divertimento, soprattutto all’età che hanno i ragazzi della scuola calcio. Mi fa piacere che i genitori mi riconoscano il fatto che l’ambiente è soft e tranquillo ed i bambini non vengono qui con la paura dell’allenatore. C’è da dire che gli allenatori li scelgo a seconda di quelle che sono direttive che do anche a me stesso, conta molto l’aspetto umano. Quelli che proseguiranno l’attività avranno la possibilità, con il tempo, di avere impostazione tattica: per ora, è bene che conti soprattutto il divertimento come quando si vede un pallone per strada e si inizia a giocare, senza pressioni.

– Recentemente hai partecipato alla partita per Guglielmo come allenatore. Che effetto ti fa entrare nel tuo stadio, seppur profondamente cambiato rispetto a quando giocavi?

La partita per Guglielmo ci ha dato il pretesto di dare una mano secondo quelle che sono le nostre possibilità. È stato bello tornare allo Zecchini: lo sento come casa mia, è una sensazione sempre piacevole, perché ero molto amico di Massimo Baccetti, il figlio del custode Beppone. Noi andavamo spesso in campo quando c’erano le partite, lo stadio era casa nostra, facevamo le elementari insieme con Massimo. Quando torno allo stadio, mi tornano a mente tante persone e tanti ricordi di quegli anni. Questa sensazione penso che sia comune a tutti quelli che hanno giocato anche una sola stagione con il Grosseto.

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Giulio,
hai fatto bene a lasciare le parole di Giacomo esattamente come le ha dette.

Condivido le lodi per Giacomo, giocatore dotato di tecnica sopraffina anche se un po lento e innamorato della palla. Ottima persona e bravo allenatore. Io sono stato medico del Grosseto in quegli anni, anche purtroppo in quel campionato 1982-83 nel quale retrocedemmo anche per la fuga a Cagliari di Amarugi. Devo però correggere alcuni dati che ha citato Giacomo. Si è vero che avevamo perso in casa contro il Civitavecchia nella quart’ultima partita (penultima in casa) ma in realtà la nostra retrocessione avvenne nella penultima partita giocata a Foligno, persa per 1-0 seguita dall’ultima in casa contro il Casale persa sempre per 1-0

Con quei 4 punti avremmo superato a 31 punti il Sant’Elena Quartu che invece si salvò

Grande Giacomo. Un onore aver lavorato con te, anche se per poco tempo 🙂

Faccio una piccola precisazione di carattere, diciamo così, storico-statistico. In realtà, i succitati Dolso, Salvori e Tresoldi ebbero sì nella loro carriera l’onore di vestire rispettivamente le maglie di Lazio, Roma e Milan, ma non arrivarono a Grosseto, in C2, da quelle squadre come parrebbe di capire nell’intervista. Infatti, Dolso, giocatore tutto genio e sregolatezza, dopo la parentesi in biancoceleste, giocò nel Varese, poi nell’Alessandria e nel Trapani. Dunque, in Maremma arrivò direttamente dalla Sicilia e in biancorosso giocò 112 partite mettendo a segno 6 reti. Lasciato il Grifone, andò a Ravenna, dove concluse la carriera a livello professionistico. Salvori, invece, classico mediano tutta sostanza, opposto all’estro imprevedibile di Dolso, giocò ben 14 stagioni in A vestendo molte maglie, in particolare, come detto, quella della Roma. A Grosseto, però, arrivò dal Chieti e giocò con i biancorossi per 80 volte, prima di chiudere la carriera a Civitavecchia. Infine, Carlo Tresoldi, attaccante, giunse a Grosseto dal Seregno, altra formazione di C2. Esordì in A contro la Juve, vestendo la maglia del Milan. In rossonero, però, non ebbe un gran successo e finì in B, al Varese, grazie all’affare che portò (lo Sciagurato) Egidio Calloni a Milano. Dopo la parentesi varesina, poi, il passaggio al Seregno e l’arrivo a Grosseto, dove segnò 3 reti in 19 partite. Nell’estate del 1980 terminò la sua esperienza maremmana e tornò in B, sempre a Varese, dove chiuse la carriera nel 1982 ad appena 30 anni. Tresoldi, il più giovane dei tre giocatori in questione, è stato il più sfortunato, perché un tumore lo stroncò a soli 42 anni, nell’estate del 1995.

Da questa bella intervista traspare chiaramente chi sia Giacomo Russo, una bella persona e, anche secondo me, uno dei tecnici (di quelli che sanno insegnare calcio e non solo) più bravi della nostra zona.

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