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Calcio

Bechelli: che emozione il primo goal nel nuovo stadio!

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Renzo Bechelli (1933) è sempre presente in tribuna alle partite del Grosseto. Con la pioggia, con il sole, l’incitamento di Renzo non manca mai ed intervistarlo è come ripercorrere gli anni forse più romantici della storia del Grifone unionista.

– Quando hai esordito con la maglia del Grosseto?

Erano i primi anni Cinquanta, avevo 17 anni. La mia carriera in biancorosso è stata penalizzata dal fatto che per più di Due anni sono stato impegnato con il servizio militare. Ero in Marina e sono stato mandato anche a Trieste nei giorni in cui la città tornava italiana. Fu molto commovente vedere la gioia di tutta la cittadinanza in quell’occasione: si sentivano italiani e vidi piangere anche persone di Ottant’anni, l’età che ora ho io.

– Nel 1953-54 sei sceso in campo 11 volte siglando 4 reti.

A dire il vero, le reti sarebbero Sei, perché un paio me le hanno rubate: una volta successe che saltammo insieme di testa io e Garfagnini, che era un lottatore, e assegnarono la rete a lui.

– Come era il Grosseto in quegli anni?

Era una discreta squadra, giocavamo in quarta serie ed era un bel campionato. Ricordo ancora il mio compagno di squadra Baccheretti: era originario di Livorno e lo chiamavamo “Gavozzolo” perché aveva un foruncolo sulla pelle.

– Anche a Città di Castello andasti in goal.

Vincemmo in trasferta 2-1. Ci fu una punizione per noi sulla sinistra a circa Quattro metri dal limite dell’area di rigore, Baccheretti andò sulla palla per battere il calcio piazzato ed io gli feci cenno, usando la mano sinistra per non farmi vedere dal difensore che mi marcava, a circa 65 centrimetri da terra per indicare dove volevo la palla. Riuscii ad eludere la marcatura e con una girata al volo all’incrocio dei pali sulla sinistra trafissi il portiere avversario.

– La prima rete allo Stadio Comunale Olimpico, oggi dedicato a Carlo Zecchini, l’hai segnata tu.

Eh si! Era conrro il Rosignano Solvay, il 18 Ottobre 1953, e perdevamo 0-1. Ciabattini, un bel giocatore, batté una punizione dal lato della tribuna ed io presi la sfera al volo al limite dell’area scagliandola sotto la traversa nella porta sud. La tribuna era gremita ed esplose in un boato di gioia.

– A Cesena siglasti una doppietta.

Sì, quella volta giocava all’ala Franco Ottonelli e come premio per la doppietta un dirigente mi diede 2000 lire. Ricordo che ricevetti un premio analogo anche quando segnai a Rosignano Solvay: ero in licenza ed il Commendatore Sartori mi diede 1000 Lire per il viaggio. Il Venerdì precedente ero appena arrivato a Grosseto e, mentre camminavo con mio padre, venni fermato da alcuni sportivi al Bar Gorrieri a Porta Nuova che volevano sapere se sarei sceso in campo. Mi chiamarono col mio soprannome di “Lupetto”, che mi venne dato perché ero in Marina. Significava “Lupo di mare”.

– Ricordi i tuoi allenatori biancorossi?

Sono stato allenato da Hajos e da Kovacs. Il primo era una brava persona, mi voleva molto bene ed era anche molto preparato come tecnico. Kovacs portò i fratelli De Rossi da Trieste e fece giocare meno i grossetani come Travison e Teresini, che noi chiamavamo Teresina, per fare loro spazio. E’ normale che sia successo, perché i fratelli De Rossi erano in prestito e dovevano giocare. C’era anche il massaggiatore Gino Romani, che aveva a disposizione soltanto un secchio con l’acqua e poco più. Non c’erano tutti gli spray e le accortezze di adesso.

– Quelli erano gli anni di un grande dirigente, Bruno Passalacqua.

Passalacqua era un mio grande amico, lo ricordo sempre con grande emozione. Quando andai militare dovevo giocare a Napoli una partita con la nazionale militare e tramite Passalacqua riuscii ad avere gli scarpini da gioco. Mi madre andò da Monaci, l’allora custode dello stadio, e si fece dare le scarpe che mi servirono. Tra l’altro, disputai delle belle partite: contro la Norvegia segnai un goal, contro l’Inghilterra mi ripetei e contro la rappresentativa della portaerei inglese Glory misi a segno una doppietta.

– Si può dire che eri un bel giocatore…

Non l’ho mai detto, ma me lo dicevano gli altri. A Napoli ricevetti i complimenti dell’ammiraglio della flotta mediterranea inglese che mi disse “You are very good”. Sono soddisfazioni incancellabili.

– Come ti trovasti a passare dal Campo Amiata allo Stadio Comunale Olimpico?

Sinceramente, devo dire che mi trovai subito bene nel nuovo stadio. Mi sentivo un atleta ed. anche se avevo delle lacune sul piano tecnico, sopperivo con la generosità e con l’impegno. Le maggiori soddisfazioni arrivano quando fai le cose con il cuore e non pensando al compenso economico.

– Cosa vuol dire aver indossato la maglia unionista?

Soltanto chi ha indossato quella maglia biancorossa col cuore può capire certe sensazioni e perché mi emoziono. A vedere i giocatori che si impegnano poco, mi viene una gran rabbia. Ho giocato fino a quando ho avuto 65 anni, sempre gratis e con passione: ora non vedo più questo spirito. Vedo anche anche i giovani pensano soltanto all’aspetto economico e mi dispiace. Ai miei tempi non mi sembrava nemmeno di meritare tutte le attenzioni che ricevevo e che sono niente a confronto di quello che hanno adesso i calciatori. Non c’era nient’altro che un allenatore ed un massaggiatore, i mezzi erano quelli che erano; ora hanno tutto e vedo poco impegno. Magari avessimo avuto noi i mezzi che hanno a disposizione i calciatori attuali. Non voglio nemmeno parlare, poi, di quelli che fanno le scommesse…lasciamo perdere…Quando ero presidente del club dei tifosi dissi adun noto tifoso che stava contestando “Tu sapessi cosa vuol dire indossare quella maglia, scendere in campo per quei colori”. Il tifo è passione e non andare allo stadio per offendere chi indossa quella maglia biancorossa. Sì, a volte mi arrabbio anche io, ma non offendo mai i nostri ragazzi.

– Quali sono stati i più forti calciatori che hai visto con la maglia unionista?

E’ difficile ricordarseli tutti, sono passati più di Sessant’anni. Zecchini era bravo soprattutto in area di rigore, mentre Rodolfo “Foffo” Benini sin dalle giovanili aveva qualcosa in più rispetto agli altri. Carlo Pucci era molto generoso in campo, un lottatore, e ricordo anche Walter Barbagli che non era tanto alto di statura. Se Meacci avesse avuto anche il piede sinistro sarebbe stato un calciatore completo. Dolso era fenomenale, un grandissimo calciatore, aveva una grande intelligenza di gioco. Tra i portieri voglio ricordare Landucci: a Città di Castello si scontrò per tutta la partita con un avversario, con cui era anche amico, e dovette ricorrere alle cure mediche presso l’ospedale perché aveva avuto dei problemi ad un rene in seguito alle botte ricevute.

-Per molti anni sei stato impegnato anche come allenatore.

Amavo insegnare e trasmettere agli altri il poco che sapevo. Sono pochi i bravi allenatori e non è certo il tesserino a fare un buon tecnico: è importante saper insegnare e questa capacità la vedo sempre meno sui campi. Gli allenatori di adesso sembra quasi che non sappiano insegnare cose come il colpo di testa, la difesa del pallone ed altri fondamentali. Non vedo più nemmeno un allenatore che usa la forca per insegnare il gioco aereo; sono cambiate le tecniche di allenamento, ma vedo sempre meno qualità in giro proprio perché nessuno insegna più certe cose. Non mi sono mai permesso di consigliare qualcosa ad un allenatore, nemmeno quando davo una mano ad altri tecnici, perché credo nel rispetto dei ruoli.

Copyright © 2021 GrossetoSport Testata giornalistica iscritta al tribunale di Grosseto 8/2011 Direttore responsabile: Fabio Lombardi

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